2024

FRAGILE

La fragilità è una condizione umana, una caratteristica che ci accomuna tutti, indipendentemente dall’età, dal sesso, dall’origine o dal credo. È la consapevolezza dei

nostri limiti, delle nostre vulnerabilità, della nostra finitezza.

In una società che spesso ci invita a nascondere le nostre fragilità, a mostrarci forti e invincibili, una serie di scatti fotografici ci invita a fare il contrario: a mostrarci per quello che siamo, con le nostre paure, le nostre incertezze, le nostre ferite.

I protagonisti degli scatti sono persone di tutte le età, provenienti da contesti diversi.

Ognuno di loro si confronta con la propria fragilità in modo diverso.Il velo trasparente che avvolge i protagonisti degli scatti rappresenta il confine tra la nostra immagine pubblica e la nostra realtà interiore. È un confine che spesso ci impedisce di mostrarci per quello che siamo, di essere autentici.

Questi scatti ci invitano a rompere questo confine, a mostrare la nostra fragilità al mondo. Non perché sia facile, ma perché è necessario. Perché solo accettando la nostra fragilità possiamo davvero crescere, possiamo davvero vivere.

La fragilità è una forza, non una debolezza. È la forza dell’umiltà, della compassione della solidarietà. È la forza che ci permette di connetterci con gli altri, di creare legami profondi.

Guardando questi scatti, possiamo imparare ad accettare la nostra fragilità, a viverla con consapevolezza e dignità. Possiamo imparare a vedere la bellezza nella diversità, a riconoscere la forza nelle persone che spesso consideriamo deboli.

La fragilità è un dono, un tesoro da custodire.

 

Salvatore Giò Gagliano

NOTE LEGALI
Tutte le immagini riferite ai soggetti incluse alle opere sono oggetto di specifica liberatoria alla diffusione rilasciata dal soggetto medesimo o, qualora interdetto, da chi ne esercita la tutela.

KOUROS

KOUROS. LA FILOSOFIA DELLA BELLEZZA E L’IMMAGINE DELLA FORZA  

Nella tradizione arcaica, il kouros aveva le sembianze di un giovane. Era modellato nel marmo, il corpo nudo, i muscoli tonici e ben plasmati, la posizione eretta, la testa incorniciata da file di treccine, braccia tese lungo i fianchi, pugni serrati e il volto animato da un misterioso sorriso che la storia ha poi battezzato con il nome di “sorriso arcaico”. In genere, il kouros rappresentava una divinità, un personaggio eroico della mitologia, un soldato o, più in generale, un essere umano legato al concetto di kalòs kai aghatòs , ovverosia bello nel fisico e buono nell’animo. La funzione di quelle grandi sculture, le cui dimensioni potevano toccare i tre metri di altezza, era devozionale, quando venivano poste a guardia di un luogo sacro (come i due gemelli mitici Cleobi e Bitone, collocati originariamente presso il santuario di Apollo di Delfi e scolpiti da Polimede di Argo), o funebre, se erano segnacoli tombali, è il caso del kouros di Kroisos che “il violento Ares ha ucciso mentre era in prima fila in battaglia”, recita puntualmente l’iscrizione sulla base. In origine, tutti i kuroi erano policromi, ma quella “pelle” nei secoli l’hanno persa arrivando a noi ancora più nudi di quando erano nati. È anche capitato che strada facendo abbiano perduto qualche arto, ma non hanno di certo smarrito la loro bellezza che nasce dalle forme levigate e simmetriche del corpo, ma anche dal loro incedere sicuro e dalla determinazione con cui imperterriti scrutano l’orizzonte. 

Nelle fotografie di Giò Gagliano, il corpo del giovane Marco, effigiato con luci e ombre che ne sottolineano la forza e ne esaltano l’anatomia tonica, è stato trasformato in un moderno Kurous che posa nello spazio del Museo Leone perfettamente inserito tra armi preistoriche, corredi di tombe egizie, vasi etruschi, mosaici medievali, porcellane, argenti, affreschi e dipinti. 

Ogni scatto è il frutto di un attento studio delle proporzioni, degli equilibri e dei riverberi che mutano la carne in forme scultoree, che trasformano la pelle in superfici cromatiche dalle campiture calde e grevi, in visuali nette e potenti. 

Il fisico, atletico e sodo, è avvolto dalle tenebre ed emerge dal nero profondo come certi personaggi di Caravaggio. Senza negare la tragica verità dell’esistenza, quell’inchiostro corvino cancella il tempo e lo spazio, ma conferisce all’insieme una nota di maestosa solennità e sottolinea quella bellezza eroica che si riflette nella perfezione del profilo nerboruto, ma che ha la sua origine nello spirito, nella tenacia e nel coraggio di affrontare le sfide della vita, anche quelle più amare.

Gli scatti di Gagliano, perfino quando si soffermano sull’arto amputato o quando isolano la protesi – con le sue linee metalliche, meccaniche e così moderne –, collocandola idealmente ed emblematicamente tra le mani di San Rocco o tra i frammenti di arti antichi, rifuggono la pietà ed esaltano invece il valore umano, lo sguardo volitivo e la forza fisica e morale di un giovane a cui la vita ha presentato un conto davvero salato. La verità di quelle immagini sta nel coraggio, nella determinazione e nella risolutezza e l’incidente, che ha portato via la gamba a Marco, non gli ha però tolto il carisma, non gli ha scalfito la bellezza, non gli ha rubato l’audacia, piuttosto lo ha mutato in un intrepido e splendido guerriero.

Lorella GIUDICI

storica dell’arte, curatore e professore dell’Accademia di Brera, Milano

NOTE LEGALI
Tutte le immagini riferite ai soggetti incluse alle opere sono oggetto di specifica liberatoria alla diffusione rilasciata dal soggetto medesimo o, qualora interdetto, da chi ne esercita la tutela.